Il Papa che ha combattuto i "sepolcri imbiancati": perchè Francesco è stato un Pontefice amato e odiato
La morte di Francesco ha scosso milioni di fedeli, ma anche tanti che vedevano nella sua figura un uomo che si batteva per il Bene. Un ricordo personale che dice molto del suo rapporto col "potere"
C’è un episodio del Pontificato di Papa Francesco che mi ha segnato più di altri. E siccome non l’ho visto particolarmente citato, ma a mio parere ha segnato uno spartiacque sui rapporti tra Vaticano e politica italiana, voglio partire da qui nel mio ricordo del santo Padre.
Era una fredda mattinata di primavera. Le prime luci dell’alba filtravano appena attraverso le navate maestose della Basilica di San Pietro, quando in un silenzio surreale Papa Francesco celebrò una Messa riservata in modo specifico ai parlamentari italiani. Eravamo in cinquecento, forse più: era il 27 marzo 2014.
Deputati e senatori di ogni orientamento politico, raccolti sotto la cupola più celebre del mondo, seduti non come avversari ma come coscienze in ascolto. Francesco non pronunciò un discorso politico, ma fu uno tra i più potenti discorsi alla politica che io abbia mai udito.
Nessun microfono acceso, nessuna diretta televisiva: solo il Papa, l’altare della Cattedra, e parole che scendevano come pietre levigate con sapienza.
Parole dure. Sulla corruzione, sull’ipocrisia, sull’incapacità delle classi dirigenti di ascoltare il popolo e la voce di Dio.
“Il corrotto è fissato nelle sue cose. Il peccatore può essere perdonato, il corrotto fa più fatica, perché non vuole tornare indietro”, ci disse.
E poi il passaggio, in cui mi riconobbi totalmente e che ho fatto mio per il resto dei giorni che ho trascorso in politica: quelli contro coloro che, riprendendo le parole di Gesù, ha definito “sepolcri imbiancati”. Una parabola per definire coloro che appaiono uomini di buone maniere, aperti e disponibili, ma in realtà sono di cattive abitudine ed esattamente il contrario di come sembrano.
Nella dialettica della libertà c’è il Signore buono, che ci ama, ci ama tanto! Invece, nella logica della necessità non c’è posto per Dio: si deve fare, si deve fare, si deve… Sono diventati comportamentali. Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini. Gesù li chiama, loro, “sepolcri imbiancati”. Questo è il dolore del Signore, il dolore di Dio, il lamento di Dio. (Francesco)
Quel discorso, il primo e l’ultimo che Francesco ha mai svolto alla politica italiana nei suoi 12 anni di servizio, anticiparono molto di quello che è stato il suo atteggiamento verso i “potenti”: cortesia, certo, ma anche fermezza e inflessibilità nei giudizi. A costo anche di risultare antipatico.
Un pontificato di innovazioni, fratture e visioni globali
La morte di Papa Francesco segna la fine di una delle stagioni più controverse e complesse nella storia recente della Chiesa cattolica. Il suo pontificato, durato dodici anni, sarà ricordato anche come un periodo segnato da durissimi conflitti interni, da un'intensa polarizzazione dottrinale e da uno scontro costante tra visioni opposte del cattolicesimo.
Oltre che da una grande popolarità e visibilità mediatica del Pontefice stesso, che ha scelto di infrangere molte consuetudini e tabù per riuscire a comunicare in maniera più ampia i propri messaggi. E’ stato il primo Papa a sbarcare sui social, a usare gli strumenti moderni della comunicazione e anche i linguaggi ad essi collegati.
E del resto non poteva fare altrimenti per evitare di trascinare il suo pontificato in un profondo conflitto interno che addirittura ha portato alcuni osservatori a paventare il rischio di un nuovo scisma, una nuova divisione, una nuova separazione dentro la Chiesa.
Anche per questo motivo ha viaggio molto e ovunque. Nel corso del suo Pontificato ha compiuto complessivamente 47 viaggi apostolici, toccando 66 diverse nazioni (spesso in un’unica ‘missione’ ha visitato più Paesi). A questo si aggiungono 40 visite pastorali in 49 differenti città o frazioni d'Italia.
E’ stata una stagione, la sua, in cui le tensioni tra conservatori e riformisti non si sono limitate ai corridoi vaticani, ma si sono riflesse – e a volte confuse – con le spaccature culturali e ideologiche che attraversano le società occidentali contemporanee.
Jorge Mario Bergoglio, primo papa proveniente dall’America Latina e unico gesuita nella storia del soglio pontificio, ha incarnato fin dall’inizio una rottura simbolica e geografica con il passato. La sua elezione nel marzo del 2013 ha rappresentato il riconoscimento di uno spostamento epocale del baricentro del cattolicesimo: dall’Europa al Sud del mondo, là dove la fede cattolica è oggi più vitale, numerosa e in crescita.
Uno stile di governo pugnace
Nonostante il richiamo alla semplicità e all'umiltà espresso fin dalla scelta del nome — Francesco, come il santo di Assisi — il suo stile di governo è stato tutt’altro che remissivo.
Il pontefice argentino ha affrontato con determinazione le sfide ereditate da un ventennio segnato dagli scandali finanziari, dalla crisi della credibilità morale della Chiesa e da un modello decisionale ipercentralizzato.
Il suo pontificato è stato una continua battaglia interna: non solo contro le opacità curiali, ma anche contro una parte del mondo cattolico statunitense e tedesco, i cui fermenti tradizionalisti e progressisti hanno più volte messo in discussione la sua autorità.
Sul piano dottrinale, Francesco ha cercato di aprire spazi di riflessione e di riforma, pur senza mai sfociare in rotture radicali con il passato. Documenti come Amoris Laetitia, che ha introdotto un’apertura alla possibilità di riammissione ai sacramenti per i divorziati risposati, hanno scatenato la reazione di autorevoli cardinali conservatori, che hanno contestato pubblicamente il papa in una modalità senza precedenti nella Chiesa post-conciliare.
Il dissenso si è incancrenito al punto da trasformarsi in vera e propria resistenza organizzata, culminata, negli ultimi anni del pontificato, nella rimozione di figure di spicco dell’opposizione interna, come il cardinale Burke e il vescovo texano Strickland.
Eppure, Francesco non ha goduto di una fiducia incondizionata nemmeno da parte del fronte progressista. A deludere molti cattolici riformatori è stata la sua prudenza su questioni come il ruolo delle donne, il celibato ecclesiastico e l’inclusione delle persone LGBT. Emblematico, in questo senso, il braccio di ferro con la Chiesa tedesca, colpevole, secondo il papa, di voler procedere in solitaria lungo un “sentiero sinodale” troppo vicino alla sensibilità protestante.
Un attore globale
La cifra internazionale del pontificato di Francesco è stata altrettanto significativa. Ha affrontato i grandi temi del nostro tempo — le migrazioni, l’ambiente, le disuguaglianze, le guerre — con un linguaggio diretto e senza timori.
Poteva fare di più per contribuire alla risoluzione di alcuni conflitti? Davvero difficile dirlo e anche il paragone con l’attivissimo Giovanni Paolo II non è calzante: siamo in un’epoca totalmente diversa, l’influenza della Chiesa sui comportamenti umani è decisamente inferiore (non per ‘colpa’ di Bergoglio), il mondo è assai più complesso rispetto alla divisioni in due blocchi della Guerra Fredda.
L’enciclica Laudato si’ ha dato dignità teologica all’ecologia integrale, elevando la questione ambientale al rango delle grandi battaglie etiche della dottrina cattolica. E forse questo è uno dei più grandi successi del Pontificato francescano.
Sul piano geopolitico, ha cercato un dialogo difficile ma ineludibile con la Cina, ha rilanciato i rapporti con l’Islam dopo i contraccolpi del pontificato di Benedetto XVI, ed è stato il primo Papa a mettere piede nella Penisola arabica.
Riforme interne e tentativi di metterlo in ombra
Nel frattempo, ha cercato di bonificare l’apparato amministrativo vaticano, travolto da decenni di scandali. Emblematica la riforma della Curia del 2022, che ha dato rilievo strutturale alla tutela dei minori, e storica la condanna penale del cardinale Becciu per malversazione, una decisione che ha segnato un punto di non ritorno nella trasparenza finanziaria della Santa Sede.
Non sono mancati i tentativi di coprirlo di ombre. Ad esempio si è evocata più volte la sua condotta durante la dittatura argentina, con la quale – secondo gli accusatori – sarebbe stato troppo permissivi. Un fatto che ha sollevato interrogativi che lo hanno tormentato per decenni, pur a fronte di dichiarazioni autocritiche e di gesti di riconciliazione.
E poi il presunto dualismo con la figura del papa emerito Benedetto XVI, usata da varie correnti di pensiero dentro la Curia romana per alimentare una contrapposizione che nei fatti non era così accentuata, ma che ha reso più ardua l’affermazione dell’autorità pontificia.
Papa Francesco ha portato avanti il suo magistero cercando un equilibrio quasi impossibile tra verità e misericordia, tradizione e riforma, potere e servizio. Non è stato né il rivoluzionario che molti temevano né il modernizzatore che alcuni auspicavano; ma ha certamente lasciato un segno e una eredità di cui il suo successore dovrà tenere conto.
È stato, piuttosto, un Papa che ha cercato di gestire conflitti e tensioni così profonde che hanno costretto il suo predecessore alle dimissioni; è stato il Papa di in un’epoca in cui anche il cattolicesimo — come ormai ogni sfera delle vita pubblica — si è dovuto misurare con le infinite fratture del mondo contemporaneo.
Per questo Bergoglio ha scelto il dialogo, il confronto, l’apertura, anche a costo di dover scontare critiche feroci al proprio interno. Ha scelto i simboli (dalle mete dei suoi viaggi fino al luogo in cui ha deciso di vivere, dalle persone che acconsentiva di incontrare fino alle indicazioni per i suoi funerali), ha scelto un tono di comunicazione talvolta informale, ma straordinariamente capace di arrivare alle persone comuni.
Il suo lascito sarà giudicato a lungo, ma una cosa è certa: Francesco ha ridisegnato i confini del cattolicesimo globale, ne ha amplificato la voce sulle sfide epocali del XXI secolo e ha messo a nudo le lacerazioni profonde che attraversano l’istituzione ecclesiale.
Senza risolverle, forse, ma obbligando tutti a farci i conti.
Sono io a ringraziarti per aver colto il senso, il motivo per il quale ho voluto ricordare questo episodio “personale” ma estremamente indicativo dell’agire di Papa Francesco. Condivido, sono messaggi da trasferire non solo ai giovani studenti, ma anche ai loro educatori. Tuttavia mi preoccupa vedere l’indebolimento dell’attenzione verso gli aspetti più formativi e culturali delle politiche educative (mi riferisco al Paese, in generale) a favore di un’attenzione più legata ai contenitori, agli edifici. Che sono fondamentali, sia chiaro, ma la vera urgenza a mio avviso è la ristrutturazione dei programmi, delle forme e degli approcci educativi.
Grazie Marco di aver condiviso questo ricordo "esclusivo" ma al contempo tanto generalizzabile anche ad altre categorie influenti socialmente e vicine ai centri del potere. L'analisi del rapporto di Papa Francesco coi potenti e col potere può essere una chiave di lettura, un "grimaldello" potente da proporre ai nostri bambini e ragazzi nei loro percorsi di educazione civica. Sarebbe però in primis da proporre ai loro educatori, genitori e insegnanti. Il mondo educativo ha di nuovo bisogno di messaggi dissonanti, di parlare di "sepolcri imbiancati" per costruire "incubatori di pace e di speranza".